Cinque consigli per stare vicino a una persona che è stata coinvolta in un accadimento tragico.
Oggi sono tornata a Genova per la prima volta dopo la tragedia. Ho trovato una città vuota e silenziosa. Mi sembrava tutto diverso. Ed è una città, non una persona. Come fare quando queste situazioni si vivono da vicino? Quando a essere colpito da una tragedia è un parente o un amico? Questo breve elenco di spunti e consigli è il mio microscopico contributo al processo di guarigione di questa forte e superba città.
Cinque consigli per stare vicino a una persona che è stata coinvolta in un accadimento tragico.
- Permetterle di esternare le sue emozioni
Se una persona a cui siamo vicini ha assistito o è stato coinvolta in una situazione drammatica dobbiamo fare in modo che non senta di essere censurata o giudicata rispetto al mostrare le proprie emozioni; spesso di fronte a un pianto dirotto o a una forte agitazione viene spontaneo dire “smetti di piangere” o “piangere non serve a niente”, oppure “calmati”; anche se tutte queste frasi sono dette a fin di bene, spesso siamo noi che non sappiamo come reagire a queste manifestazioni emotive, che però sono utili e fisiologiche. Una grande agitazione può servire a smaltire la quantità di neurotrasmettitori che durante l’evento traumatico hanno preparato il corpo alla fuga, il pianto invece ha una funzione di richiamo sociale: infatti attraverso il pianto l’essere umano attira le premure e le attenzioni dei suoi consimili. Permettete alla persona cara di manifestare le sue emozioni: non serve dire nulla, basterà la vostra presenza.
- Ascoltarla
Quando viviamo un trauma abbiamo bisogno di tempo per rielaborarlo; abbiamo bisogno di raccontare cosa è successo, cosa abbiamo visto, sentito, provato, pensato. Attraverso le parole formiamo nella mente i nessi logici, costruiamo un ricordo, mettiamo assieme i pezzi. Questo ci permetterà di andare avanti portando con noi quanto successo come una esperienza passata. Ascoltare chi ha bisogno di rielaborare il trauma è fondamentale per aiutare la persona ad andare avanti. Anche se l’ha già detto, anche se vorremmo che dimenticasse, anche se riteniamo che dovrebbe smettere di pensarci. Invece abbiamo bisogno di tempo, noi esseri umani. E di qualcuno che ci ascolti.
E se invece non ci sono parole da ascoltare? Non possiamo, né dobbiamo, forzare il nostro caro a parlare con noi; possiamo aspettare che le parole siano mature per essere dette; oppure, se il nostro caro non vuole parlare con noi, possiamo lasciare che ad ascoltare ci sia un’altra persona e dedicarci agli altri punti del memorandum.
- Non fomentare rabbia o sensi di colpa
Come abbiamo detto, le persone coinvolte in episodi tragici possono essere disperate e arrabbiate; ma possono anche provare un irrazionale senso di colpa: si domandano se potevano in qualche modo evitare l’accaduto, se potevano fare qualcosa di diverso per salvare una o più vittime, se potevano prendere ulteriori precauzioni, se avrebbero dovuto prevedere la situazione. La maggior parte di questi pensieri non solo è irrazionale, ma non è in alcun modo utile. Infatti non possiamo tornare indietro e modificare quanto successo. D’altra parte se avessimo pensato che sarebbe successa una tragedia certo avremmo agito diversamente. Non lo potevamo sapere. Punto. Evitate di fomentare la rabbia (diretta verso di sé o verso gli altri) e il senso di colpa: frasi come “te l’avevo detto” oppure “c’era da aspettarselo” non sono utili. Ascoltate le manifestazioni di rabbia, comprendetele, capitele: sintonizzatevi con quella emozione, sentitela. Poi aiutate a reindirizzarla verso comportamenti non distruttivi ma di ricostruzione, di miglioramento, di ripresa. Ascoltate il senso di colpa, asciugate le lacrime, rimanete vicino e abbiate pazienza: date tempo al vostro caro di rielaborare e di accettare.
- Impedirle di compiere azioni di cui poi potrebbe pentirsi
Dopo aver assistito ad eventi traumatici, le persone possono provare profonda disperazione o grande rabbia. Alcune persone possono mettere in atto comportamenti impulsivi sull’onda delle emozioni, oppure possono stare talmente male da cercare soluzioni sbagliate per evitare di sentire il dolore. Se siete vicino a queste persone, cercate di evitare che i vostri cari si mettano nei guai. Ad esempio prendendosela fisicamente con qualcuno che ritengono colpevole rischiando di passare dalla parte del torto; oppure impedendogli di assumere quantità di alcol o di droga che possano nuocere alla sua salute, anche se sul momento stordiscono dal dolore. Poiché la rabbia e la disperazione accecano, voi siate i loro occhi.
- Aiutarla senza sostituirsi a lei
Ci sono situazioni in cui siamo talmente confusi, indeboliti e stanchi che vorremmo semplicemente annichilirci, lasciare che gli altri facciano e decidano per noi. D’altra parte chi sta vicino sente il desiderio di rendersi utile. Se è vero che le persone che sono state coinvolte in situazioni drammatiche possono aver bisogno di un aiuto nel fare le cose di tutti i giorni come la spesa o cucinare, è sempre importante fornire sostegno senza imporlo. Chiediamo loro se vogliono il nostro aiuto, accompagniamole nel ritorno alla routine e rimaniamo a disposizione se dovessero non farcela da sole. Ma lasciamo loro spazio di azione e di decisione senza essere invadenti. Ricordatevi che se non c’è una relazione intima, l’aiuto in certe situazioni può diventare fastidioso perché può essere interpretato come una violazione della privacy.
Ci vuole tempo, pazienza, amore. A volte non bastano. A volte vorremmo fare di più e non possiamo; a volte potremmo fare di più ma il nostro sforzo non ci sembra compreso: in questo caso è importante rispettare la volontà della persona a cui teniamo, perché ogni aiuto è utile se non è imposto e pertanto deve essere possibile rifiutarlo. Se le cose peggiorano? Ci sono dei professionisti. Ma non delegate. Il medico e lo psicologo danno la cura, la famiglia e gli amici l’affetto. È imprescindibile per andare avanti. Una buona rete sociale è tra le risorse più preziose che una persona può avere.
MIGLIORAMENTO. AGGIORNAMENTO. EFFICACIA.
#SiCuraMente
Per saperne di più:
Kast, V. (1996). L’esperienza del distacco: lutto, perdita, abbandono come occasione di trasformazione e crescita. Como: Red Edizioni.
Kübler Ross, E. (1990). La morte e il morire. Padova: Cittadella Editore.
Lindemann, E. (1944) Symptomatology and management of acute grief. American Journal of Psychiatry 51(6 Suppl): 155–60
Liotti G., Farina B. (2011). Sviluppi Traumatici – Eziopatogenesi, Clinica E Terapia Della Dimensione Dissociativa. Cortina: Milano.
Onofri, A., La Rosa, C. (2015). Il lutto. Psicoterapia cognitivo – evoluzionista e EMDR. Roma: Giovanni Fioriti Editore.
Parkes, C. M. (2001) Bereavement: studies of grief in adult life (3rd ed.), Taylor e Francis, 12 Philadelphia.
Parkes, C. M. e Weiss, R. (1983) Recovery from bereavement. New York: Basic Books.
Perdighe, C., Mancini, F. (2010). Il lutto. Dai miti agli interventi di facilitazione dell’accettazione. Psicobiettivo, 2010, 30, 127-147.